Archivio Militare Neapel

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    I NASTRINI DEL MEDAGLIERE NEL REGIO ESERCITO



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    Edited by Neapel - 10/3/2011, 20:45
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    I GRADI DELLA KRIEGSMARINE



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    Edited by Neapel - 8/2/2011, 22:51
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    MEDAILLE WINTERSCHLACHT IM OSTEN 1941/1942





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    Edited by Neapel - 13/2/2011, 11:12
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    Le Quattro Giornate di Napoli






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    Il 28 settembre 1943 ebbe inizio l'insurrezione armata popolare di Napoli contro i tedeschi. Un popolo, stremato da lunghi anni di guerra, dalle privazioni e dalla fame, dai tanti bombardamenti che avevano distrutto interi quartieri della città, dalle razzie e dalle barbare rappresaglie dei soldati tedeschi, si sollevò armato di vecchi fucili, di bombe a mano e soprattutto del suo coraggio, contro uno dei più potenti eserciti del mondo. Dopo quattro giorni di duri e sanguinosi combattimenti, i tedeschi furono costretti a ripiegare e a lasciare la città.
    La notizia della vittoriosa rivolta di Napoli, prima tra le grandi città europee ad insorgere, si diffuse nel mondo, destando tra i popoli ancora oppressi dalla dominazione nazista nuova fiducia nella lotta per la libertà e per l'indipendenza nazionale.

    Con le Quattro Giornate di Napoli ha inizio la guerra di Liberazione del nostro Paese dal nazifascismo, che si concluderà il 25 aprile 1945. Dalla Resistenza nasce l'Italia democratica: ai valori della Resistenza si ispirano la Costituzione, la Repubblica, le istituzioni democratiche.

    Quando Napoli insorse, l'Italia era in guerra da tre anni, una guerra voluta dal fascismo contro gli interessi e la volontà di pace della nazione. Il Paese era stato portato al disastro da una dittatura, che da 20 anni aveva privato il popolo delle sue istituzioni democratiche, soppressi i partiti, le organizzazioni sindacali, soffocata la stampa, repressa ogni libertà di espressione.

    Nel 1940, il governo fascista aveva deciso la partecipazione alla guerra voluta dalla Germania, anch'essa retta da una dittatura ancora più barbara e più disumana di quella fascista.

    Il fascismo non si assunse solo la gravissima responsabilità di decidere l'entrata in guerra a fianco di un alleato che si proponeva la conquista e l'oppressione di tutta l'Europa: apparve ben presto evidente che il nostro Paese era stato trascinato in un immane conflitto senza un'adeguata preparazione. Le nostre forze armate, impegnate sui più lontani fronti di guerra, erano così esposte a drammatici rovesci, nonostante il sacrificio e l'abnegazione dei nostri soldati; il territorio nazionale veniva sottoposto a tremende incursioni aeree da parte degli anglo-americani; mentre durissime restrizioni erano imposte alla popolazione civile con il razionamento dei generi di prima necessità (il pane, la pasta, ecc.).

    Napoli, per la sua posizione strategica, con il suo porto, dal quale partivano le navi per rifornire le nostre truppe dislocate in Africa, subì più di cento bombardamenti. La mancanza di un'adeguata difesa antiaerea consentiva agli aerei anglo-americani di portarsi d'improvviso e indisturbati sulla città.
    Nel 1943, il porto era ridotto ad un ammasso di rovine: quasi interamente distrutti gli impianti delle stazioni ferroviarie; distrutte o gravemente colpite le industrie. Le bombe non cadevano solo sugli obiettivi militari: gli aerei portavano il loro carico di morte, indiscriminatamente, su ogni punto della città. In alcuni quartieri popolari, che ancora oggi mostrano le ferite di quelle terribili incursioni, venne rasa al suolo gran parte delle abitazioni: danni gravissimi subì anche il patrimonio artistico.

    Migliaia e migliaia di morti, di feriti, di mutilati tra la popolazione civile furono il tragico bilancio di questi anni di guerra. Molte famiglie abbandonarono la città per trovare riparo in località meno esposte, ma la gran parte dei napoletani rimase in città. Mancavano i viveri, mancava l'acqua.

    I mezzi di trasporto non funzionavano: non c'era alcun riparo sicuro alle incursioni; moltissimi trovavano rifugio nelle tante grotte naturali, o nelle gallerie della metropolitana, della Vittoria, di Fuorigrotta, per vivervi in condizioni di terribile disagio. Cresceva nella coscienza di tutti l'odio per la guerra, salivano sempre più la protesta e la condanna contro il regime fascista, che, dando prova di criminale incapacità e negligenza, non sapeva predisporre neppure le misure adeguate ad alleviare le sofferenze di un città martoriata.

    Intanto, nell'estate del 1943, gli eserciti anglo-americani, partendo dall'Africa Settentrionale, si apprestavano a sbarcare sul territorio italiano. A giugno occupavano l'isola di Pantelleria, un mese dopo sbarcavano in Sicilia.

    In una situazione ormai senza uscita, anche alcuni esponenti del regime ritennero che era necessario prendere una decisione. Nella seduta del Gran Consiglio, supremo organo del regime, riunitosi nella notte tra il 24 e il 25 luglio, Mussolini fu messo in minoranza. Il Re Vittorio Emanuele III, che pure aveva grande responsabilità per aver consentito e sostenuto il fascismo, preso atto della crisi, fece arrestare Mussolini e affidò il governo al Maresciallo Badoglio.

    Non appena la notizia fu diffusa dalla radio, vi fu, in ogni parte d'Italia un'esplosione di gioia collettiva. Alla gioia per la fine della dittatura fascista si accompagnava la speranza di una pace imminente. A Napoli, in tutta la Campania, anche nei più piccoli Comuni, le manifestazioni popolari per la fine del fascismo dimostrarono quanto grande fosse l'esultanza per la riconquistata libertà.

    Ma la gioia doveva essere di breve durata. Nel suo proclama agli Italiani del 25 luglio, Badoglio aveva dichiarato: «La guerra continua». E mentre il comando militare tedesco disponeva l'affluenza in Italia di nuove forze, gli anglo-americani intensificavano i bombardamenti sulle città italiane con l'intento di colpire, da un lato, le truppe tedesche, dall'altro di costringere il governo Badoglio a distaccarsi definitivamente dall'alleanza con la Germania. Si profilava il terribile scontro sul territorio italiano tra due potenti eserciti, che doveva apportare al nostro Paese nuovi lutti, nuove rovine, indicibili sofferenze.

    Napoli e la Campania furono ben presto l'avamposto del nuovo fronte militare. I bombardamenti alleati si susseguirono su Napoli con spietata violenza. Il più micidiale di tutti, quello del 4 agosto, provocò, in una città già così duramente provata, un numero altissimo di vittime, rase al suolo oltre cento fabbricati, arrecò nuovi danni al patrimonio artistico: la Basilica di Santa Chiara, avvolta in un immenso rogo, fu quasi interamente distrutta.

    Ma non andarono deluse soltanto le speranza di pace: il popolo italiano si accorse ben presto che il governo Badoglio poco o nulla intendeva modificare sul piano politico. Badoglio nel suo proclama aveva anche detto: «Chiunque tenti di turbare l'ordine pubblico, sarà severamente punito». E disposizioni severissime furono indirizzate in tal senso anche alle forze armate. Il nuovo governo temeva l'azione degli antifascisti, principalmente dei partiti di sinistra, la ripresa delle lotte operaie e popolari, temeva che il popolo si facesse protagonista della rinascita e del rinnovamento democratico del paese. Per questo, qualsiasi iniziativa che esprimesse la volontà di pace e di una diretta partecipazione popolare ad un fronte comune di lotta al nazifascismo, doveva essere respinta o repressa.

    Già all'indomani del 25 luglio, l'esercito e la polizia furono impiegati nella repressione delle manifestazioni popolari. La Resistenza ebbe allora i suoi primi caduti, i suoi primi martiri.

    A Napoli, in tanti comuni della Provincia, a Castellammare, a Torre Annunziata, a Pozzuoli, migliaia di cittadini, operai, studenti, donne, uomini di diversa condizione sociale, che manifestavano per la pace, si scontrarono con la decisa reazione della polizia.

    Il 20 agosto, un gruppo di antifascisti, che si richiamavano agli ideali del socialismo, mentre erano riuniti nella località di San Giacomo dei Capri, vennero arrestati e portati nel carcere di Poggioreale.

    Il 1° settembre, un folto corteo di studenti, che manifestava per la pace, venne disperso.

    Sono questi solo alcuni dei tanti episodi, che stanno a dimostrare come nei 45 giorni, che vanno dal 25 luglio all'8 settembre, il movimento per la pace, per la libertà e per l'indipendenza abbia assunto un sempre più ampio carattere di massa. Ma alle spinte popolari di rinnovamento democratico e alle proposte delle forze antifasciste di organizzare la resistenza contro le truppe naziste, qui a Napoli, come in tutto il Paese, le autorità civili e militari, interpreti degli ordini del governo Badoglio e degli alti comandi militari, risposero con la più severa repressione.

    In queste condizioni si giunge all'8 settembre, all'armistizio. Il Re e Badoglio, le più alte cariche dello Stato, abbandonano la capitale e, attraverso gli Abruzzi, raggiungono Pescara, ove si imbarcano per Brindisi, nel territorio che è già sotto il controllo degli anglo-americani. Il Paese è abbandonato al suo destino: l'esercito, che dispone di uomini e di mezzi per resistere ai tedeschi, in mancanza di ordini, finisce per sbandarsi.

    Eppure, in tanto disorientamento, in tanto smarrimento, si accendono in tutto il Paese fiammate di orgoglio nazionale e di ardimento popolare. Nasce la Resistenza armata. A Roma, il Comitato di liberazione nazionale, che riunisce i partiti antifascisti, il 9 settembre chiama gli italiani alla lotta. Nello stesso giorno, a fianco dei soldati della divisione Granatieri, che è impegnata lungo la via Ostiense ad ostacolare l'occupazione tedesca della capitale, combattono numerosi gruppi di civili.

    Tale episodio sta a dimostrare che, se il Re e Badoglio fossero rimasti sul posto, se avessero impartito all'esercito ordini precisi, se non fossero stati dominati dalla preoccupazione di impedire alle forze popolari antifasciste di prendere le armi, diverso sarebbe stato il corso degli eventi.

    Infatti molti reparti dell'esercito, pur nel generale sbandamento, dettero, prima di essere sopraffatti, prova di dignità e di coraggio. Taluni presidi che si trovavano fuori dei confini, nei Balcani, nelle Isole Ionie, in Corsica, o si unirono ai partigiani che combattevano contro i tedeschi o opposero una eroica resistenza: basti per tutti ricordare il presidio di Cefalonia, che dopo aver resistito per più giorni, venne barbaramente trucidato dai tedeschi. La Marina italiana, mentre si dirigeva verso il porto di Malta per sfuggire alla cattura dei tedeschi, fu duramente attaccata dall'aviazione nemica: alcune unità furono gravemente danneggiate, altre affondate. L'Ammiraglio Bergamini e 1500 uomini affondarono con la propria nave.

    A Napoli, la notizia dell'armistizio suscitò nel popolo un fremito di ribellione. Provato da terribili privazioni, dalla fame, costretto a vivere in condizioni disumane, il popolo di Napoli non volle rassegnarsi. La resistenza ai tedeschi, che doveva concludersi nelle Quattro Giornate, ebbe inizio in quei giorni: in quei giorni ebbe il battesimo il nuovo Risorgimento, un risorgimento che vide, durante tutta la guerra di liberazione, protagonista il popolo nella lotta per la libertà, per l'indipendenza, per il riscatto nazionale.

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    Invece, gli alti Comandi militari, i generali Del Tetto e Pentimalli, che pure avevano dimostrato nel mese precedente tanta energia nella repressione dei movimenti popolari e antifascisti, ora dettero prova di incapacità ed ignavia. I reparti tedeschi presenti a Napoli e nella regione erano certo meglio armati ed equipaggiati dei reparti italiani, che però erano numericamente superiori: se i generali Del Tetto e Pentimalli avessero dato ordini precisi, se non si fossero rifiutati alla richiesta del Comitato dei partiti antifascisti di distribuire le armi al popolo napoletano, si sarebbe potuto evitare lo sbandamento dell'esercito e organizzare una valida difesa della città. L'unica preoccupazione dei due generali fu quella di non irritare i tedeschi, i quali ebbero così la possibilità di eseguire l'ordine impartito dal proprio comando generale, di stroncare qualsiasi resistenza.

    Tanto più rifulgono, in contrasto con il comportamento dei comandanti militari, episodi di eroismo e di dignità di singoli ufficiali e soldati. Il generale Ferrante Gonzaga, comandante di un divisione di stanza presso Salerno, si rifiuta, all'intimazione tedesca di impartire ai suoi soldati l'ordine di resa e viene trucidato; presso Villa Literno, cade ucciso dai tedeschi il colonnello Ferraiolo; a Nola, dieci ufficiali del 12° e del 48° reggimento vengono fucilati. A Napoli, nei giorni immediatamente successivi all'armistizio, gruppi di militari si oppongono ai tedeschi; in questi scontri cadono il tenente Farneti, sottufficiali e semplici soldati.

    Intanto, negli stessi giorni, altri scontri si accendono tra il popolo napoletano e reparti tedeschi: uomini, donne e ragazzi reagiscono all'occupazione con straordinario coraggio. Si combatte nelle strade, nei vicoli, in punti diversi della città. A Santa Brigida, un gruppo di militari tedeschi, sul punto di sopraffare un carabiniere, viene circondato, costretto alla resa e consegnato alle autorità militari italiane. Alla litoranea e alla Torretta, negli scontri che vedono impegnati insieme col popolo soldati, marinai, un gruppo di tedeschi viene fatto prigioniero. Ma la parola d'ordine del comando italiano è una sola: non irritare i tedeschi. E i prigionieri vengono liberati. Si verificano altri scontri in più parti della città. I tedeschi reagiscono con rabbiosa determinazione. L'11 settembre catturano quattordici carabinieri che coraggiosamente hanno tentato di impedire la distruzione del palazzo dei telefoni in via Depretis. Trasportati in una località presso Aversa, i carabinieri vengono barbaramente trucidati.

    Il giorno dopo, i tedeschi danno alle fiamme l'Università. La rappresaglia si scatena ormai con una rabbia bestiale. La città, che ha osato opporsi, deve essere piegata con l'arma del terrore: con l'incendio dell'Università, i nazisti credono di annientare quei valori di libertà e di civiltà, che animano la resistenza di un popolo disarmato. Sulle scale dell'Università, dinanzi ad una folla costretta ad assistere all'esplosione di una così cieca violenza, un giovane marinaio viene passato per le armi.

    Si concludono così i primi quattro giorni dell'occupazione tedesca. Se nelle prime ore dopo l'armistizio le truppe tedesche erano state incerte se mantenere o meno la città, ora - come sì è detto, anche per la deplorevole inerzia del comando territoriale italiano - sono decise a fare di Napoli un avamposto contro gli anglo-americani sbarcati a Salerno.

    Il 12 settembre, il colonnello Scholl assume il comando assoluto della città. Il suo proclama costituisce la prova della sorpresa e della rabbia di questo ufficiale tedesco per la resistenza del popolo che non si piega alla violenza e al terrore. «Ogni soldato germanico ferito o trucidato verrà vendicato 100 volte... Esiste lo stato d'assedio... Chiunque verrà trovato in possesso di un'arma verrà immediatamente passato per le armi».

    La città doveva essere duramente punita: nel piano del colonnello Scholl si doveva fare di Napoli "terra bruciata". Sono in questo piano non soltanto la distruzione di opere militari, che poteva trovare una qualche motivazione, ma la distruzione del patrimonio produttivo, delle industrie, degli impianti civili, il saccheggio dei depositi di viveri, la deportazione in massa della popolazione maschile.

    Intanto, gli anglo-americani avanzavano da Salerno verso Napoli. La città si trovò così al centro dello scontro tra due potenti eserciti. Nuovi lutti, nuove distruzioni, ancora più atroci sofferenze. Ma anche in questi giorni, che precedono le Quattro giornate, il popolo non si arrese, continuò a resistere rifiutando la consegna delle armi, sottraendo alle retate i giovani, gli uomini validi, i militari, in prevalenza di altre regioni, sorpresi a Napoli al momento dell'armistizio.

    La città è affamata, la razione di pane ridotta a 100 grammi giornalieri. Manca in talune zone l'acqua. Eppure nei vicoli dei vecchi quartieri, in ogni punto della città, si prepara l'insurrezione. Si rinsaldano nuovi e profondi vincoli di solidarietà tra le famiglie, tra uomini di diversa condizione sociale. Le donne sono in prima linea in queste ore drammatiche: le abbiamo già viste partecipare agli scontri contro i tedeschi nei primi giorni dopo l'armistizio; le ritroveremo nelle Quattro Giornate, protagoniste accanto ai patrioti, ai combattenti, sulle barricate. E con le donne i ragazzi, i famosi scugnizzi, scrivono una delle pagine più belle e più commoventi della storia della resistenza napoletana.

    Assunto il comando assoluto, il colonnello Scholl dà inizio al piano di distruzione degli impianti industriali della città. Guidati da fascisti, i tedeschi smantellano pezzo per pezzo macchinari, portano via tutto ciò che è trasportabile, poi completano la rovina con l'esplosivo e con le fiamme.

    «Così all'Alfa Romeo - racconta Nino Aversa - alla Cellulosa Cloro Soda, alle Cotoniere Meridionali, ai cantieri Vigliena, alle industrie Navali Aeronautiche Meridionali, alle Vetrerie ed a tutti gli altri opifici minori... Durava ancora la devastazione della zona industriale ed occidentale, quando nella zona orientale gli impianti dell'Ilva e dell'Ansaldo, del Silurificio e di Armstrong furono fatti saltare... Poi fu la volta della Navalmeccanica e di tutto quanto esisteva nel porto, installazioni, impianti, merci depositate in terra ferma o su chiatte. Il carburante scorreva a fiotti e portava le fiamme un po' dappertutto, il mare stesso ardeva ed i sinistri bagliori si riflettevano tutto all'intorno. I macchinari più delicati della Navalmeccanica, per salvarli dal pericolo delle incursioni, erano stati dal porto trasportati nelle capaci grotte di Villa Gallotti a Posillipo. Furono distrutti minuziosamente, con scientifica precisione... Il pontile di Bacoli, il ponte di San Rocco a Capodimonte furono fatti saltare. Il giorno 20... cominciò la distruzione non più della periferia, ma dello stesso nucleo centrale della metropoli» (da "Napoli sotto il terrore tedesco", Maone, 1943).

    I tedeschi procedono al tempo stesso alla distruzione delle attrezzature ferroviarie, del porto, già gravemente colpiti da bombardamenti aerei, del gasometro, dei depositi dell'azienda tranviaria. Vengono saccheggiati depositi di viveri, magazzini di vestiario, dati alle fiamme grandi alberghi: viene sottratto alle chiese un prezioso patrimonio di ori e di opere d'arte. Napoli è avvolta in quei giorni dal denso fumo degli incendi e di tanto in tanto scossa dallo scoppio improvviso delle mine.

    Il colonnello Scholl avverte che la città, giunta ormai al colmo della disperazione, non si arrende. Sa che nei vicoli, nei quartieri popolari, vengono nascosti uomini, giovani militari sbandati e con essi molti prigionieri alleati che, al momento dell'armistizio, sono fuggiti dai campi di concentramento. I napoletani affamati dividono con loro la misera razione di pane.

    Il proclama del colonnello Scholl, con il quale si imponeva la consegna di prigionieri alleati, rimase inascoltato. Nessuno si lasciò piegare delle minacce o dalla lusinga di un compenso. Con un'altra ordinanza, il colonnello Scholl prescrisse alla popolazione della fascia costiera di lasciare la zona. Migliaia e migliaia di cittadini furono costretti ad abbandonare le proprie case, a trovare rifugio nelle grotte, nelle baracche, negli scantinati di tanti edifici colpiti dai bombardamenti.

    Con un altro proclama, tutti gli uomini, appartenenti alle classi dal 1910 al 1925, vennero chiamati a presentarsi per il servizio obbligatorio del lavoro. Il decreto era firmato dal Prefetto Soprano. Su trentamila persone, risposero all'ordine soltanto 150.

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    Allora si scatenò la rappresaglia nazista. I soldati tedeschi ebbero l'ordine di procedere al rastrellamento di tutti gli uomini sorpresi nelle strade, nelle case, nei posti di lavoro. E' una vera e propria caccia all'uomo. In molti casi le donne circondano in folla i tedeschi e consentono la fuga dei giovani fermati; altri riescono a sfuggire durante il trasferimento ai centri di raccolta; altri, avvertiti del pericolo, trovano rifugio nei tanti nascondigli della città. Non c'è casa che si chiuda a chi abbia bisogno. Ma nonostante gli aiuti, nonostante il coraggioso comportamento della popolazione, ben ottomila napoletani vengono presi. Si inizia per loro il duro cammino della deportazione. Alcuni riescono a salvarsi con la fuga durante il trasferimento, altri sono deportati in Germania; molti non rivedranno più la loro terra.

    LE "BARRICATE"



    La liberazione della città è sentita certo come liberazione dalle sofferenze, dal terrore, dalla fame, ma in primo luogo come impegno civile per la pace, per il progresso, per l'indipendenza del Paese dall'oppressore straniero.

    E' difficile dire dove ebbe luogo il primo scontro contro i tedeschi. La deportazione in massa di tanti uomini rastrellati dai tedeschi, la notizia che i serbatoi di acqua di Capodimonte erano stati minati, che altri impianti civili stavano per essere distrutti, furono la scintilla della rivolta. Il 28 settembre da Fuorigrotta a Piazza Nazionale, da Via Foria a Piazza Carlo III a Capodimonte, la città tutta vibrava di un unico fremito insurrezionale. Non ci fu un ordine preciso. L'insurrezione esplose contemporaneamente in punti diversi della città. Gli uomini uscirono dai rifugi, presero le armi e le munizioni nascoste nei giorni precedenti, levarono barricate e posti di blocco, affrontarono in campo aperto i tedeschi.

    Al Vomero, la mattina del 28 settembre, un gruppo di giovani attacca una pattuglia tedesca. Da quell'episodio la lotta divampa per le strade del quartiere, da Piazza Vanvitelli al Campo sportivo. Al Liceo Sannazaro si costituisce un comando, diretto da Antonino Tarsia e da Edoardo Pansini, che guiderà e coordinerà l'insurrezione del quartiere. Intanto si scatena la rabbiosa rappresaglia tedesca. Cadono uccisi dal fuoco nemico alcuni civili, altri restano feriti. Quarantasette civili, giovani, donne, anziani, presi dai tedeschi, sono rinchiusi in ostaggio nello stadio. I patrioti passano all'attacco del presidio tedesco, sistemato nei pressi dello stadio. Sono in prevalenza giovani, che non hanno alcuna esperienza militare: eppure si muovono con intelligenza e con ardimento, con lo slancio e la forza della causa per la quale combattono. Dopo una lunga giornata di duri e sanguinosi combattimenti, i tedeschi sono costretti a lasciare il campo sportivo. Il colonnello Scholl, che ha il suo comando al Corso Vittorio Emanuele, autorizza i propri soldati a trattare la resa. I quarantasette ostaggi vengono liberati: la guarnigione tedesca lascia le proprie posizioni.

    I combattimenti al Vomero continuano nei giorni 29 e 30: duri scontri si accendono alla Pigna, in località Pezzalonga. I tedeschi non hanno tollerato l'umiliazione della resa: passano al contrattacco, affiancati da un folto gruppo di fascisti. Alla fine i tedeschi sono costretti ad abbandonare il Vomero. Molti patrioti sono caduti, durante quelle giornate di aspri combattimenti. Ricordiamo il giovane Adolfo Pansini - al suo nome è oggi intitolato un Liceo della città - e con lui tutti i caduti della resistenza al Vomero. Ricordiamo con loro anche quei civili massacrati dai nazisti e dai fascisti, che nella loro ritirata verso i Camaldoli vollero così dare sfogo alla loro rabbia. Al Vomero, ma in ogni parte della città, sulle barricate, nei posti di blocco, accanto ai patrioti, contro un esercito disciplinato, ben armato, c'è la solidarietà, l'unità, il calore di tutto un popolo, che nei vicoli, nelle strade, partecipa alla lotta, curando il rifornimento di armi, di munizioni, di viveri, raccogliendo i propri morti, apprestando le cure dei feriti.

    Dal Vomero a Salvator Rosa, al Museo, altri scontri si accendono fin dalle prime ore del 28. A Salvator Rosa i patrioti attaccano i reparti di fascisti e di tedeschi, sistemati nelle scuole "Vincenzo Cuoco", ove trovano armi, munizioni e viveri. Impossessatisi, poi, anche del distaccamento di Gesù e Maria, gli insorti si assicurano il controllo delle importanti vie di collegamento, che da Salvator Rosa salgono al Conte della Cerra e a Piazza Leonardo. Contemporaneamente si combatte lungo le strade che da Piazza Mazzini conducono al Rione Materdei. Si levano barricate, si dispongono posti di blocco, si organizzano i rifornimenti e i posti di soccorso per i feriti.

    Si è già detto che l'insurrezione non nacque secondo un piano preordinato, che erano mancati il tempo e la possibilità di predisporre una preparazione e una organizzazione militare. Ma nel vivo dello scontro armato, sul campo, con una sorprendente e geniale intuizione rivoluzionaria, i partigiani operarono con una chiara visione strategica, che conferì unità e coordinamento alle iniziative dei diversi gruppi di combattimento. Nascono così, già nelle prime ore, nuclei di direzione politica e militare. Emergono alla testa degli insorti giovani operai e intellettuali, vecchi antifascisti, perseguitati dal regime, usciti da lunghi anni di carcere e di confino: con loro soldati e ufficiali, sfuggiti ai rastrellamenti tedeschi, che portano il contributo della loro esperienza militare.

    Al Vomero - come si è visto - nasce un comando partigiano con Antonino Tarsia: alla scuola "Vincenzo Cuoco", cacciati i tedeschi, si costituisce un comando che ha il compito di organizzare le azioni di guerriglia e, al tempo stesso, di assicurare la distribuzione dei viveri alla popolazione. Al Parco Cis, a Salvator Rosa, nasce, per iniziativa di Eugenio Mancini, nel pomeriggio del 29 un comando unitario di tutte le forze insurrezionali della zona, che coordina le iniziative militari, organizza le operazioni per la cattura dei fascisti, molto numerosi in quel quartiere, traccia un programma di riorganizzazione democratica della vita cittadina dopo la liberazione. Altro comitato di direzione e di coordinamento è quello di San Gaetano. Ovunque, la spontaneità e l'audacia dei patrioti, guidati da comandanti espressi dall'impulso insurrezionale, si ritrovano attorno a precisi obiettivi: al Vasto, in Piazza Nazionale, in Piazza Carlo III e in Via Foria.

    Da Capodimonte a Santa Teresa, l'azione si sviluppa con un chiaro programma: attaccare le posizioni nemiche di artiglieria che sparano ad uno dei punti dominanti della città, causando distruzioni e vittime; contrastare il movimento dei carri armati; impedire la distruzione dell'acquedotto, che rifornisce di acqua la città. L'azione per salvare l'acquedotto viene condotta fin dal giorno 27, allorché si diffonde nel quartiere la voce che i tedeschi si apprestano a disporre le mine per far saltare gli impianti. Immediatamente un gruppo di patrioti attacca i tedeschi, cattura alcuni guastatori, disinnesca le cariche di esplosivo. Sono i patrioti operanti nella zona a salvare i ponti della Sanità, che i tedeschi hanno minato in vista di una loro ritirata verso il Nord. Intanto si combatte al Museo, ove s'incontrano le strade che da un lato portano a Capodimonte e dall'altro per Foria verso Capodichino.

    Il Museo è un punto strategico della massima importanza sia per bloccare i tedeschi e i fascisti, che tentano di aprirsi un varco, risalendo dal centro della città, sia per impedire ai carri armati tedeschi di tornare in forza in appoggio ai reparti attaccati dai partigiani. E proprio al Museo si accende uno degli scontri più violenti. Nel pomeriggio del 29 alcuni carri armati "tigre" irrompono d'improvviso da Capodimonte: i tedeschi vogliono da un lato venire in soccorso ai reparti attaccati dai partigiani, dall'altro dare una dura lezione ad una città che ha osato ribellarsi. I patrioti hanno previsto la possibilità della rappresaglia nazista e hanno fatto giungere a San Potito molte armi e munizioni, hanno rovesciato lungo le strade per Capodimonte vetture tranviarie ed eretto barricate. Alcune mitragliatrici sono state sistemate sui balconi delle case vicine. Fu questo uno degli episodi più importanti della resistenza napoletana, sia per la partecipazione collettiva della popolazione, sia perché accanto al nucleo di San Potito, del Museo, della Galleria Principe di Napoli, accorsero a dare rinforzo patriota da Salvator Rosa, da Foria e da altri punti vicini. Nonostante l'ardimento dei partigiani, il fuoco aperto con armi inadeguate non riuscì a fermare i mezzi corazzati tedeschi. I "tigre" superarono lo sbarramento e si avviarono verso via Roma: ma qui, dai vicoli, nelle strade dei vecchi quartieri, dai bassi, dall'alto delle case, la resistenza divampò in innumerevoli azioni di guerriglia.

    Alla fine i tedeschi furono costretti a ripiegare. Non rientrava nella logica e negli schemi della condotta militare tedesca la lotta armata di un popolo. Le truppe tedesche si muovevano secondo schemi, verificati dalla esperienza militare; non rientrava in questi schemi l'ardimentoso accorrere di un ragazzo, armato di bombe a mano contro un'autoblindata; provocava sorpresa e disorientamento l'attacco di gruppi che si levavano d'improvviso, affrontavano l'urto con imprevedibile rapidità, si sottraevano alla cattura nel dedalo delle strade, protetti dal rapido accorrere di altri patrioti, di donne e di ragazzi. Non poteva rientrare, in primo luogo, nella logica della strategia militare di un esercito che si era mosso per opprimere la libertà e l'indipendenza dei popoli, l'impegno generoso di una città che si batteva per liberarsi dall'oppressione e per un ideale di rinnovamento, di libertà e di pace.

    Nei giorni 29 e 30 si continua a combattere da via Roma a Chiaia, a Posillipo, in tutti i quartieri della città. E' qui difficile ripercorrere tutto l'itinerario dell'insurrezione. Abbiamo citato alcuni episodi, per dare un'immagine della lotta sviluppatosi in questi giorni a Napoli, una lotta che costituisce la prima grande iniziativa insurrezionale, unitaria e popolare, di una grande città contro i nazifascisti.

    L'azione dei patrioti si sviluppò in quei giorni anche nelle zone periferiche. A Ponticelli, un gruppo di operai e di giovani, a cui si erano uniti alcuni soldati sbandati, ingaggiò il 29 settembre un duro combattimento con i tedeschi. Alla fine, gli insorti furono sopraffatti dalle armi automatiche e dai carri armati. Seguì una cieca, spietata repressione, che costò la vita a tanti abitanti della zona.

    Il 30 settembre iniziò il ripiegamento di tutte le truppe tedesche verso il Nord.

    Si accennato all'azione svolta dai fascisti durante l'occupazione. I fascisti, che collaborarono coi tedeschi, rappresentavano una piccola minoranza del popolo napoletano: ma una minoranza che ebbe tanta parte, anche nel corso delle due settimane che precedono l'insurrezione, nel sostegno delle razzie, delle ruberie, delle distruzioni, operate dai tedeschi, delle azioni di rastrellamento e di deportazione di tanti napoletani.

    Negli scontri delle Quattro Giornate, molti partigiani caddero sotto il fuoco dei fascisti. Federico Zvab, che ebbe il comando dei patrioti della zona di San Gaetano, in una sua cronaca, ancora inedita, racconta che i fascisti in quei giorni sparavano sui partigiani dai tetti, dall'alto delle finestre, per poi dileguarsi rapidamente attraverso le case vicine.

    Uno di questi gruppetti di cecchini fece molte vittime a Salvator Rosa: ci vollero parecchie ore di caccia all'uomo per annientare i proditori criminali attacchi di questo gruppo di fascisti.

    Così, a Piazza Dante, i cecchini fascisti, sparando dal terrazzo del Liceo Vittorio Emanuele, provocarono numerose vittime anche tra la popolazione non combattente. Attaccati in forza dai partigiani, fuggirono attraverso i palazzi che si estendono da Port'Alba fino a Piazza del Gesù.

    Ma un po' ovunque, da Via Foria a Via Roma, da Via Duomo a Via dei Mille, a Via Scarlatti, a Piazza Vanvitelli, i partigiani furono attaccati dai fascisti.

    Così uno scontro violento si ebbe a Porta Capuana, ove una trentina di fascisti, appoggiati da guastatori tedeschi, avevano occupato la sede degli Arditi. Allontanatisi i tedeschi, i fascisti, che avevano trasformato la sede in un fortilizio, continuarono a sparare sui partigiani e sulla popolazione. La morte di una donna, uccisa dal fuoco fascista, provocò la pronta reazione dei partigiani e di tutto il quartiere. Per tre quarti d'ora si svolse una vera e propria battaglia: alla fine i fascisti furono costretti ad arrendersi.

    Anche a Montecalvario, dalla caserma Paisiello, che era stata giorni prima abbandonata dalle truppe italiane, i fascisti per tre giorni seminarono il terrore tra la popolazione della zona. Attaccati dai partigiani, dopo un violento scontro a fuoco, i fascisti si dettero alla fuga.

    Molto attivi i fascisti furono anche nel tratto che va da Piazza Cavour all'Orto Botanico. Dalla cupola della chiesa, situata di fronte alla caserma Garibaldi, essi sparavano con una mitragliatrice su combattenti e civili.

    La criminale azione fascista si sviluppò in tutti i giorni dell'insurrezione popolare e solo dopo numerosi attacchi fu definitivamente liquidata.

    Il primo ottobre Napoli è ormai libera.

    Prima di allontanarsi, i tedeschi vogliono ancora sfogare il loro odio contro la città: con i cannoni sparano sulle case e sulla popolazione, provocando altri lutti, altre distruzioni.

    Giunti a San Paolo di Belsito, presso Nola, danno alle fiamme le preziose carte dell'Archivio storico di Napoli. I nazisti non hanno potuto piegare la resistenza di un popolo. Credono con questa barbara azione di distruggerne le memorie: forse intuiscono che da quelle memorie, dalla sua storia e dalla sua civiltà, dalla sua antica sete di libertà e di giustizia, quel popolo ha tratto la forza per resistere e per insorgere.

    «Ritengono - dice Roberto Battaglia - di cancellare così dalla faccia della terra una delle zone più importanti della civiltà italiana; mentre quella civiltà, pur mutilata irrevocabilmente nel suo passato, risorge invece dinanzi ad essi: è la civiltà nuova del popolo napoletano che dalle Quattro Giornate prenderà lo slancio per l'avvenire, un documento questo che non potrà mai essere distrutto, qualunque sia la vicenda futura».

    Quando gli alleati entrarono in città, non trovarono un nemico che fosse uno. Napoli s'era liberata da sola. Nel dopoguerra, oltre alla medaglia d’oro alla città di Napoli, furono conferire agli insorti 4 medaglie d’oro alla memoria, 6 d’argento e 3 di bronzo. Le medaglie d'oro furono assegnate ai quattro scugnizzi morti: Gennaro Capuozzo (12 anni), Filippo Illuminati (13 anni), Pasquale Formisano (17 anni) e Mario Menechini (18 anni). Medaglie d’argento alla memoria di Giuseppe Maenza e di Giacomo Lettieri; medaglie d’argento ai comandanti partigiani Antonino Tarsia, Stefano Fadda, Ezio Murolo, Giuseppe Sances; medaglie di bronzo a Maddalena Cerasuolo, Domenico Scognamiglio e Ciro Vasaturo.

    Questo il bollettino delle 4 giornate: oltre 2.000 combattenti, 168 furono i napoletani caduti in combattimento, 162 i feriti, 140 le vittime tra i civili, 19 i morti non identificati, 162 i feriti, 75 gli invalidi permanenti.

    La motivazione della medaglia d'oro al valore militare conferita alla città di Napoli fu la seguente:

    “CON UN SUPERBO SLANCIO PATRIOTTICO SAPEVA RITROVARE, IN MEZZO AL LUTTO E ALLE ROVINE, LA FORZA PER CACCIARE DAL SUOLO PARTENOPEO LE SOLDATESCHE GERMANICHE SFIDANDONE LA FEROCE DISUMANA RAPPRESAGLIA.

    IMPEGNATA UN'IMPARI LOTTA COL SECOLARE NEMICO OFFRIVA ALLA PATRIA NELLE QUATTRO GIORNATE DI FINE SETTEMBRE 1943, NUMEROSI ELETTI FIGLI.

    COL SUO GLORIOSO ESEMPIO ADDITAVA A TUTTI GLI ITALIANI LA VIA VERSO LA LIBERTÀ, LA GIUSTIZIA, LA SALVEZZA DELLA PATRIA”.

    Edited by Neapel - 29/4/2019, 00:35
  9. .
    Gentili collezionisti,
    come avrete già notato, da un mesetto abbiamo aggiornato raramente le pagine di approfondimento.
    Siamo in pieno cantiere aperto per potervi dare sempre un forum all'altezza delle vostre aspettative.
    Purtroppo non ho molti collaboratori e non posso delegare a nessuno l'aggiornamento del sito ma posso garantirvi una presenza quotidiana sul mio forum. Se avete bisogno di chiedermi accorgimenti o quant'altro, vi chiedo di inviarmi le vostre riflessioni per poter sempre più migliorare in ogni senso.
    Grazie e a presto.

    Edited by Neapel - 27/4/2019, 23:46
  10. .

    ORDINE DEI SS MAURIZIO E LAZZARO



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    L'ordine più antico, quello di San Lazzaro, fu fondato come ordine militare religioso al tempo del Regno Latino di Gerusalemme verso l'anno 1090. L'ordine era concepito per la cura dei lebbrosi, e molti suoi membri erano lebbrosi guariti divenuti cavalieri. Con la caduta di Acri nel 1291 i cavalieri di San Lazzaro lasciarono la Terra Santa e l'Egitto per trasferirsi prima in Francia, e poi, nel 1311, a Napoli. L'Ordine di San Maurizio, invece, venne fondato nel 1434 da Amedeo VIII di Savoia, in seguito divenuto l'antipapa Felice V. L'unificazione dei due ordini avvenne il 22 gennaio 1573 per volere del duca Emanuele Filiberto di Savoia tramite Magistrali Patenti. Nelle costituzioni del nuovo ordine i cavalieri dovevano possedere quattro quarti di nobiltà e dovevano vivere in convento per almeno cinque anni.
    Carlo Alberto aprì l'ordine anche ai non nobili e Vittorio Emanuele II lo ridusse a Ordine dinastico onorifico con i cinque gradi tradizionali: cavaliere di gran croce, grande ufficiale, commendatore, cavaliere ufficiale, cavaliere.
    In base alla XIV disposizione transitoria e finale della Costituzione Italiana il 1º gennaio 1948, l'Ordine Mauriziano è conservato nel suolo dello Stato italiano riconducendolo all'esclusivo e originario compito di ente ospedaliero. Con la legge del 3 marzo 1951, nr.178, all'art.9, lo Stato italiano ha poi deciso di non riconoscere più l'ordine come Ordine cavalleresco perché appartenente a Casa Savoia come proprio Ordine dinastico. Tuttavia, alcuni giuristi pensano che le istituzioni dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, essendo nate da una bolla papale, possono essere evidentemente modificate solo dal papa. Per tale motivo è continuato da parte del re Umberto II prima, e di suo figlio Vittorio Emanuele poi, il conferimento di tale ordine.


    Insegne dell'Ordine


    L'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro è stato suddiviso nel corso della sua lunga storia in diverse classi di benemerenza, cambiate in funzione delle varie epoche in cui esso venne riformato e secondo le nuove esigenze di stato.
    Riportiamo qui di seguito queste evoluzioni per la classe maschile, dal momento che la classe femminile venne ammessa solo a partire dal XX secolo.

    Gradi



    Gradi sino al 1816

    Cavaliere di gran croce
    Commendatore
    Cavaliere di grazia e giustizia

    Gradi dal 1816 al 1857

    Cavaliere di gran croce
    Commendatore
    Cavaliere ufficiale
    Cavaliere

    Gradi dal 1857 al 1865

    Cavaliere di gran croce
    Commendatore di I classe
    Commendatore
    Cavaliere Ufficiale
    Cavaliere

    Gradi dal 1865

    Cavaliere di gran croce (60 membri)
    Grand'Ufficiale (150 membri)
    Commendatore (500 membri)
    Ufficiale (2000 membri)
    Cavaliere (illimitato)

    Per le donne, la suddivisione è la seguente:

    Dama di gran croce
    Dama di commenda
    Dama

    Insegne



    Il collare o cordone dell'ordine consiste in un collare di seta moiré verde fermato in più punti dal monogramma del Gran Maestro regnante in oro. Dal cordone pende l'insegna dell'ordine coronata.

    La placca di gran croce consiste in una croce mauriziana in smalto bianco dalla quale fuoriescono quattro bracci in smalto verde. Essa è montata su una stella raggiante in argento.

    La placca di grand'ufficiale consiste in una croce mauriziana in smalto bianco dalla quale fuoriescono quattro bracci in smalto verde. Essa è montata su un rombo raggiante in argento.

    La medaglia dell'ordine consiste in una croce mauriziana in smalto bianco dalla quale fuoriescono quattro bracci in smalto verde. Dalla classe di ufficiale in su la medaglia era congiunta al nastro con una corona reale d'oro. La classe di ufficiale dal 1857 al 1868 ebbe come tenente al nastro una corona d'alloro in oro.

    Il nastro dell'ordine è verde con sovrapposte delle corone o d'oro o d'argento a seconda del grado per il periodo regio. Nel periodo repubblicano dal 1946 al 1951 in cui l'Ordine venne comunque accettato in Italia le corone vennero sostituite con delle stellette. Attualmente la casata di Savoia, che continua a concedere privatamente questo ordine di collazione, concede ai propri insigniti dei nastrini con delle stelle d'oro e d'argento come nel modello del periodo repubblicano.

    La cocolla o veste da cerimonia è rossa bordata alle maniche di bianco e con un collare di stoffa bianca, abbottonata sul davanti di rosso. Sul frontale davanti si trova l'insegna dell'ordine ricamata, consistente in una croce mauriziana in bianco dalla quale fuoriescono quattro bracci in verde. Sul frontale la veste è completata da un cordone annodato che ricade sul petto.

    Edited by Neapel - 10/4/2011, 19:33
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    Paul NEUMANN OLDENBURG i. O.

    Richard GROHMANN PLAUEN i. V.

    Richard KERMES BREMEN

    Hermann SCHELLHORN OFFENBACH a. M.

    W. & L. MULLER BREMEN VEGESACK Bahnhofstr. 18.

    HERMANN NAUBERT of ERFURT utilizza un logo molto caratteristico: HNE parole plasmare una testa
    orientato sulla sinistra con visiera in un semicerchio gilt, su una pergamena con il suo nome completo e la residenza. C'è anche una variante stampata in argento, su una pergamena con la DEUTSCHE WERTARBEIT scritto in stampatello.

    FELIX WEISSBACH of GLAUCHAU utilizza due tipi principali di etichetta, tutti caratterizzati dalla
    presenza di un cerchio con un'aquila stilizzata (testa orientato sulla destra) recanti la dicitura
    DEUTSCHE WERTARBEIT sul petto. Il primo modello aveva una iscrizione con il suo nome completo e la residenza di sotto del cerchio. Il secondo motivo aveva le parole Fewegla (sopra) e Erstklassig o Sonderklasse (sotto) aggiunto al cerchio.

    LUDWIG WORZ of ULM a.D., Herdbruckerstr. 30, utilizza un'etichetta di pianura con il suo nome
    completo e la residenza.

    ALM GEBRUDER (BROTHERS) of BERLIN, Kreuzbergstr. 30, utilizzate un'etichetta di pianura con il suo nome completo e la residenza.

    KARL COLLING of ST.WENDEL, Luisenstr. 15, aveva un logo molto caratteristico: due sciabole attraversate con un elmo piumato sovrapposto.

    E. MULLER (EMS) of STUTTGART utilizza un'etichetta con il suo nome, il monogramma e la residenza.

    C. POSE of BERLIN utilizzato un logo romboidale con un' aquila e una spiga di grano.

    ALOIS KATTINGER of WIEN used utilizza un'etichetta con il suo nome, il monogramma e la residenza.

    ADALBERT BREITER of MUNCHEN utilizza un logo molto preciso con la silhouette di cupola e il suo cognome. Tutte le residenze erano dorate e stampato su blu o rosso sotto.

    C. LOUIS WEBER of HANNOVER utilizza il monogramma e la residenza.

    CARL BANGERT of KOBLENZ utilizza un'etichetta con il suo nome e la residenza..

    E. SCHLUTER (ESN) of GOTTINGEN, Weenderstr. 28, utilizza un'etichetta con il suo nome, il monogramma e la residenza con anno di fabbricazione.

    FRANZ RITTER of DETTINGEN utilizzare un logo molto caratteristico, mostrando un cavaliere gilt (o scuro), a cavallo.

    (RZM A1/1331)

    Vorm. Carl ROTH, DETTINGEN am MAIN, Horsteinerstr. 3

    Vorm. H.K. FLAUDER, MINDEN, Heidestr. 19

    JULIUS KUHN of DRESDEN usa un semplice logo circolare.

    RICHARD GROHMANN of PLAUEN utilizza un'etichetta di pianura con il suo nome e la residenza

    WILLY ROHE of KOBLENZ utilizza un logo circolare d'argento, mostrando il suo monogramma

    HERMANN VOCKRODT di KASSEL utilizzato tre diverse etichette, probabilmente secondo le origini dei prodotti che ha scambiato:

    Uniformhaus Hermann Kolnischestr Vockrodt Kassel. 7, per i suoi prodotti
    -come sopra ma tutto dorato e con il nome della società in font fraktur, prodotti provenienti da h.

    SCHADE KASSELER MUTZENFABRIK
    -come sopra ma con un oakleaf all'inizio, sui prodotti commercializzati con il logo generico Deutsche

    Arbeit Marke STANDARD

    H. SCHADE KASSELER MUTZENFABRIK di KASSEL, Kolnischestr. 33, utilizzate un triangolo con monogramma KM interiore e inscrïption DIE GUTE gruppo all'esterno.

    GUSTAV ASCHENNELLER di Monaco ha utilizzato un'etichetta di pianura con il suo nome e la residenza del Dachauerstr.151.

    C'era anche una circolare diversa, mostrando il suo ufficio in Schleissheimerstrasse.

    POLLMANN di Monaco ha utilizzato un'etichetta di pianura con il suo nome e la residenza in corsivo d'argento
    Un altro mucchio di informazioni su un impressionante, oscuro e fortemente falso maker EXTRA KLASSE MARKE STANDARD. Riguardo delle visiere artigianato, molti degli ufficiali e degli NCO/em modelli erano spesso caratterizzate da un stirndruckfrei a mezzaluna; un antisudore nappa posteriore, spugna anteriore e 4/5 righe di perforazioni di aerazione; un bel pieghe fodera. Con riguardo al logo, mostra un'aquila grande (testa orientato alla sinistra) muniti di uno scudo sul petto con le parole extra klasse fraktur font. Nell'angolo inferiore del diamante mostra una pergamena con le parole di marke standard in stampatello minuscolo. Tutti sono dorate in rilievo o quasi nera

    Vinzenz RUHLAND PASSAU Steinweg


    August SCHMID FRANKFURT a. M.

    Hermann NAUBERT ERFURT

    Ernst RAUCH HALBERSTADT

    Hch. KASTNER ESSLINGEN

    J. DIETERLE STUTTGART Langestrasse 20

    L. REUTHER MUNCHEN Augustenstr. 45

    W. SCHUBERT FRANKFURT a. M.

    Wilh, NOE STUTTGART Esslingenstr. 11

    KURT TRIEBEL KUTRIKA (che è ormai ben noto perché egli è ampiamente falso sotto il logo HATRIKA),
    c'erano almeno tre altri produttori/distributori, tutti situati in Kolnischestrasse:

    HERMANN VOCKRODT che utilizzate tre diverse etichette, probabilmente secondo le origini dei prodotti che ha scambiato:

    -Uniformhaus Hermann Vockrodt Kassel Kolnischestr. 7 per i suoi prodotti

    - come sopra ma tutti e con il nome della società in font fraktur, sui prodotti provenienti da H. SCHADE KASSELER MUTZENFABRIK

    -come sopra ma con un oakleaf all'inizio, sui prodotti commercializzati con il logo generico Deutsche Arbeit Marke STANDARD

    H. SCHADE KASSELER, MUTZENFABRIK, Kolnischestr. 33, che hanno utilizzato un triangolo con monogramma KM interiore e inscrïption DIE GUTE gruppo all'esterno.

    Adalbert BREITER, ha avuto vari ufficiAugust MULLER,Dachauerstr.123(at present is extensively faked)

    Gustav ASCHENNELLER,Dachauerstr.151 + Schleissheirmerstr. ?

    L. KIELLEUTHNER,Maximilianstr. 43

    M. DRECHSLER,Dachauerstr. 26

    Max LINDNER,Augustenstr. 7

    W. THIELE, ?

    Johann Georg FREY, Vari uffici

    H. POLLMANN,? strasse 64

    L. REUTHER, Augustenstr. 45

    Max PFEILER, Dachauerstr. 149.

    E. Leymann di Konigsberg, Weissgerberstr. 8 era un distributore di prodotti Erel

    Gustav Binner di Breslavia, Ohlauerstr. 42, utilizzare un'etichetta di pianura con il suo nome e la
    residenza

    Gustav Thomas di Breslavia, Ketzerberg 24, come sopra

    Joh. Klementz di Jnsterburg, Hindenburgstr. 87, come sopra Frank Siegfried di Jnsterburg, Rathaus-Str
    8, come sopra, ma con l'aggiunta di un'aquila e un nodo

    Wistuba di Breslavia, Ursulinenstr. 5/6.

    Monaco di AdalbertBREITER vari uffici

    AHLERS tradizione POTSDAM Albert SCHWEIZER BAYREUTH Alfred servizio BAD CANNSTATT Alois

    KATTINGER WIEN Mariahilferstr.76 Aloyse MIES (ALMI) KOBLENZ agosto MULLER Monaco

    Dachauerstr.123 ampiamente falso

    Agosto SCHANZE BURG b.M.

    Agosto SCHELLENBERG BERLIN Alexanderstr.40 uno dei principali responsabili; sua visiere mostrano
    un sacco di etichette diverse, secondo alla loro evoluzione nel tempo.
    Ampiamente falso

    BENNEWITZ WURZEN Am Markt

    BESTE QUALITAT unknown

    BLEYER UNIFORMHAUS LUNEBURG

    C.Louis WEBER HANNOVER

    Carl BANGERT KOBLENZ Stegemannstr.11

    Carl BULOW & Sohn PODEJUCH

    Carl HALFAR BERLIN Prinzenallee 74 visori venduti da Grundig-Verkaufs CA der LW ha mostrato il logo Ce-Ha Prima

    Carl ISKEN KOLN Carl LIPPOLD BRAUNSCHWEIG Bohlweg 14 cristiana HAUG BERLIN Hochstestr.29 Visors mostra il logo Deutsche Qualitatsarbeit CRIHA. Ampiamente falso

    Clemens WAGNER BRAUNSCHWEIG uno dei principali responsabili; sua visiere mostrano un sacco di etichette diverse, secondo alla loro evoluzione durante il time.extensively falso

    COBRA DIE GUTE MUTZE Visors sconosciuto mostra il logo con le parole, Sonderklasse o Sonderausfuhrung. Ampiamente falso

    DEUTSCHE INDUSTRIE WERTARBEIT DEUTSCHE sconosciuto sconosciuto

    DEUTSCHE QUALITATSARBEIT

    QUALITATSMUTZE DIE sconosciuto sconosciuto ampiamente falso

    Feuerschutz DOMEYER

    ELEGANTE sconosciuto e. MULLER (SME) Stoccarda e. SCHLUTER GOTTINGEN Erich VAN DER LIPPE

    DUSSELDORF Erwin FREUDEMANN BERLIN Tiefer Grund 6 Klein-Machnow

    EXTRA KLASSE sconosciuto Marke Standard. Ampiamente falsoFelix WEISSBACH GLAUCHAU FEWEGLA

    F. HOLTKEMEYER MINDEN i.W. Viktoriastr. 29

    Franz RITTER DETTINGEN Vorm.Carl ROTH

    Franz RUHLAND PASSAU

    Franz X. WEINZIERT LANDSHUT

    Friedrich BENSEN KONIGSBERG Franzosische 11

    Friedrich NESEMANN LUNEBURG Backerstr. 24

    Friedrich SCHWEITZER KOBLENZ Balduinstr. 6 HELVETIA

    G. ASSMANN HALLE S.

    Gebruder ALM BERLIN Kreuzbergstr. 30

    Georg A. HOFFMANN BERLIN Gneisenaustr. 33 Uno dei principali responsabili; sua visiere mostrano un
    sacco di etichette diverse, secondo alla loro evoluzione nel tempo. GAH and BEROLINA. Ampiamente falso.

    Georg GROTE HANNOVER Limmerstr. 39

    GRUNROWSKY NEUSTRELITZ HW platz 10

    GUNDERMANN & KORNACKER MAGDEBURG

    Gustav ASCHENNELLER MUNCHEN Dachauerstr.151

    Gustav THOMAS BRESLAU Ketzerberg 24

    HAMMABURG HAMBURG

    Hans DURBECK WIEN Berg-gasse 31

    Hans KOSANETZKY DORTMUND

    Heinrich BALKE BREMEN

    Heinrich HARTMANN KRONACH

    Hermann GOLLHOFER INNSBRUCK

    Hermann JENRICH N.HANDELSLEBEN Hagenstr. 3

    Hermann POTTHOFF (HPC) COESFELD frischluft

    Hermann VOCKRODT KASSEL Kolnischestr. 7

    HIERTEIS SOHNE FURTH-NURNBERG

    HOCHSTE LEISTUNG unknown

    HOLTERS UNIFORMEN BERLIN

    H. SCHADE KASSEL

    HUT HAAS HEILBRONN Sulmerstr. 48

    J. HEIDLAS ASCHAFFENBURG

    Joh. KLEMENTZ INSTERBURG Hindenburg. 87

    Johann SCHEITTERER INGOLSTADT Herderstr. 21 Ampiamente falso.

    Johannes JENSEN HUSUM

    Julius KUHN DRESDEN

    J. LETTEL HANNOVER Nikolaistr. 18b

    K. FALTERMEIER LANDSHUT Regierung 547

    L. KIELLEUTHNER MUNCHEN Maximilian 43

    Karl KUNZI OSSWEIL

    Karl STEINDL NEU-ULM

    KRONSIEGEL unknown

    Kurt TRIEBEL KASSEL KUTRIKA

    LLD unknown

    Leonhard PAULIG ROTHENBURG a.d. ODER LEPARO

    Ludwig WORZ ULM a.D. Herdbrucker 30

    Ludwig VOGELE KARLSRUHE ampiamente falso

    M. Monaco di DRECHSLER Dachauerstr. 26

    Max LINDNER Monaco agosto str. 7

    Max TIEPIDO BUNZLAU

    MEYER HAGEN HAGEN essenzialmente. Feuerwehrgerate


    Michael HOLL campi ANSBACH presso l'i.BR di castello m. NOLTE FREIBURG.

    M. Castello di SPICY di ZOLTSCH Michael SCHMIDT sconosciuto SEELAH Jagerstr BERLIN e Spira. 14

    Oskar HERTLEIN ottenere otto DITTMANN DRESDEN marca ODD miglior gruppoOtto HAUBER WIEN
    Turkenstr. 31

    Otto SCHLIENTZ STRAUBING

    Otto ZILLMANN SCHWEINFURT Markt 23

    Paul FREUND FINSTERWALDE Markt 9

    Paul KAPS NEISSE

    Peter KUPPER (PEKURO) RONSDORF Uno dei principali responsabili; sua visiere mostrano un sacco di etichette diverse, secondo alla loro evoluzione nel tempo. Ampiamente falso.

    R. MIETSCHKE & Sohn KUSTRIN A.H. platz 2

    R. SCHUSTER BAUTZEN

    Richard LOTZE LEIPZIG Hallischestr.133

    RITGEN KARLSRUHE

    Robert LUBSTEIN + BERLIN Alt-Moabit 105

    eReL SONDER-KLASSE H.Rollerstr. 16 Uno dei principali responsabili; sua visiere mostrano un sacco di
    etichette diverse, secondo alla loro evoluzione nel tempo. Ampiamente falso.

    Rudolf BROER BERLIN

    SCHEGA & NEFFE GRAZ Griesgasse 42

    Siegfried FRANK INSTERBURG Rathausstr. 8

    SONDER KLASSE

    STEINBERGER WURZBURG

    Th. AHRENS HELMSTEDT

    Wilhelm KREUTZER WURZBURG A.H. str. 8

    W. MICHOVIUS COTTBUS

    Wilhelm WELHAUSEN HANNOVER KASSEL

    Willy ROHE (VIRO) KOBLENZ Schlosstr. 45

    Willy SPRENGPFEIL HAMBURG Ampiamente falso

    KASSEL Kolnischestr. 12

    MAINZ Schillerplatz 22

    "HACO Berlin"

    "Pfeilringwerk"

    "Hugo Lindner Deltawerk"

    "F.Dick"

    "Wagner und Lange"

    " C.G.Haenel Suhl"

    zB

    Aesculap, Tuttlingen

    Peter Altenbach u. Söhne, Schwanenwerk, Ohlings

    Argenta G.M.B.H.

    Axt u. Hauerfabrik

    Walter Bahrl, Höhscheid

    Fritz Barthelmess, Bavaria, Muggendorf

    A. u. H. Bassat, Ohligs

    August Bickel, Steinbach, hallenberg

    Bismarck

    Eduard Becker, Kolumbuswerk

    F.W. Beckmann G.M.B.H.

    Carl Bender

    Edmund Bergfeld u. Sohn, Ohligs

    Gebr. Berns

    Hugo Berns, HUBEO, Ohligs

    Julius Bodenstein, Steinbach, Kr. M.

    Gebr. Böhmenachel

    Bönthgen u. Sabin, Fussball

    Johan Breidor, Breidora, les 3 Croix

    F. von Brosy, Steinberg

    Otto Busch, Weltmeister

    Clarfeld & Co., Hemer in Westfalen

    Deppmeyer G.m.b.H., Besteckfabrik

    Paul F. Dick, Esslingen A.N.

    Ernst Dirlam, Höffnungswerk

    J. Dirlam u. Söhne

    Albert Dorschel

    Eickelberg u. mack

    Englert u. Solvie G.m.b.H.

    C.F. Ern

    Fernando Esser u. Cie

    C. Eppstein Söhne

    A. Feist u. Cie, Lunawerk

    Josef Feist, OMEGA

    Flocke u. Cie

    Giesen u. Forsthoff

    Grah und Deppmeyer, GRADE

    Carl Grah, Stahlwaren, Ohligs

    Ernst Crah

    Gebr. Grah, Odysseus Werk AG

    Ludwig Groten, Lanze u. Fahne

    Carl Haas, Solingen-Wald

    Hackländer u. Bick, HABIWA

    H. Hauptner, Berlin

    Herder u. Sohn, Diogenes, Ohligs

    Friedrich Herkenrath, Ben Hur, Merscheid

    Emil Hermes, Merscheid

    Robert Hoppe, Höhscheid

    Jäger u. Co., Silberwarenfabrik, D. Kaiserswerth

    Johnswerk, Bayreuth

    R.K.

    Emil Kaiser u. Co.

    Kamphausen u. Plumacher, Ohligs

    Kastor u. Co., Ohligs

    F.A. Kirschbaum u. Co.

    Heinrich Kaufmann u. Söhne, Indiawerk

    Abr. Knyn, Gräfrath

    Wilh. Kober u. Co., Suhl

    Fr. v.d. Kohlen, Gräfrath

    H. Kopling

    Wilh. Krieger

    Gebr. Krumm

    Gebr. Krusius, Gazelle

    Carl Fr. Kuhrt, Kommandit Gesellschaft, Zellas Mehlis

    August Kullenberg

    J. Langenberg u. Co., JULANCO

    Louper, Flamme, SS

    Peter Lungstrass, Ohligs

    August Malscher Sohn, Steinbach

    Kr. M.Marx u. Cie, G.m.b.H.

    Melzer u. Feller, Zella Mehlis

    Robert MiddeldorfG.m.b.H., ROMI

    Müller u. Schmidt, Pfeilringwerk

    Josef Münch, Brotterode

    Neidhardt u. Schmidt, Brotterode

    Fred Nuhaus

    Erich Neumeyer

    Gebr. Noelle G.m.b.H.

    F.E.D. Ohliger

    E.P.S.

    Hugo Pasch, Sonnal Stahlwarenfabrik

    Daniel Peres

    Wilhelm Pfeiffer u. Co.

    Pränafawerk G.m.b.H., Gräfrath

    E. Reich, Schweina

    J. Reuleaux

    Rhaastert u. Bull

    Romüso, Merscheid

    W.O. Rusche, Merscheid

    J.P. Sauer u. Sohn, Suhl

    C. Schlieper

    Eugen Schmidt, Ohligs

    Hermann Schneider, auf der Rhone

    Abr. Schnitter, Wasso

    Gebr. Seibel, Hessische Metallwerke, Ziegenhain

    W. Seibel, Mettmann

    Spateneder, München

    Julius Steinberger, Ohligs

    G. u. W. Stock, Gustoc

    Süd Messer Fabrik, Gefrees

    Tannenwerk

    Carl Tillmans Söhne, Lux

    Undine

    Eduard Vitting

    Adolf Völker, Schalkalden

    Wagner u. lange

    Weck u. Stamm, Weyer

    Wilhelm Welterbach

    Gebr. Weyersberg, Ohligs

    Gottfr. Weyersberg Söhne

    H. Wilke u. Co., Remscheid

    Arthur Wingen, Chromolit Besteckfabrik

    Gustav Wirth, Gräfrath

    Edited by Neapel - 22/7/2011, 21:17
  12. .

    ORDINE DELLA CORONA D' ITALIA




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    Istituito dal Re Vittorio Emanuele II il 20 febbraio 1868 per commemorare l'unità d'Italia, l'ordine si presentava come una variante meno elitaria dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, dal momento che poteva essere conferito sia a civili che a militari, senza distinzione di religione. L'appartenenza all'ordine era propedeutica al conferimento dell'Ordine Mauriziano, poiché, per ricevere quest'ultimo, era necessario essere stati insigniti almeno dello stesso grado dell'Ordine della Corona d'Italia. Da questa regola statutaria esulavano i principi di sangue e gli insigniti degli ordini sabaudi per diritto come i parenti stretti di casa Savoia anche se essi, in segno di onore verso il regno d'Italia, venivano spesso insigniti anche dell'Ordine della Corona d'Italia.
    Alla cessazione della monarchia, il re Umberto II ha continuato a conferire l'Ordine della Corona d'Italia fino alla morte, avvenuta il 18 marzo 1983. Data la richiesta degli aderenti, anche nel regime repubblicano, coloro che fossero stati insigniti di questa onorificenza poterono continuare a fregiarsene in pubblico con l'accortezza però di sostituire nelle barrette da divisa le corone reali con altrettante stellette a cinque punte. Questo status quo delle cose rimase sino al 1951 quando l'Ordine venne definitivamente sostituito con l'Ordine al merito della Repubblica Italiana.
    Con la morte di Umberto II, questo ordine cessò ufficialmente di esistere e venne formalmente sostituito dall'Ordine al Merito di Savoia, fondato da suo figlio Vittorio Emanuele come ordine dinastico e non più legato quindi alla corona d'Italia.
    La medaglia dell'ordine era composta da una croce smussata in smalto bianco, i cui bracci erano uniti da nodi sabaudi d'oro. La decorazione, al centro, portava un tondo raffigurante la Corona Ferrea su campo blu. Sul retro, nello stesso tondo, era raffigurata l'aquila sabauda di nero su fondo oro.
    La stella di Gran Croce' consiste in una stella sfaccettata in argento a otto punte; il disco centrale riporta la Corona Ferrea su sfondo blu, circondata da un anello a smalto bianco riportante l'iscrizione VICT. EMMAN. II REX ITALIAE MDCCCLXVI (Vittorio Emanuele II re d'Italia, 1866). Sopra il disco centrale stava un'aquila di Savoia smaltata di nero.
    La stella di Grand'Ufficiale consiste in una stella sfaccettata in argento a otto punte con tre sfere in oro per ciascuna punta.
    Il nastro dell'ordine era rosso con una striscia bianca nel mezzo.

    Edited by Neapel - 11/4/2011, 01:05
  13. .

    IL NOSTRO BANNER



    Per chi volesse onorarci del nostro banner, eccolo qui ! Naturalmente ricambieremo nell' apposita sezione.

    Grazie




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    Edited by Neapel - 27/4/2019, 10:46
  14. .

    CROCE AL MERITO





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    Istituita alla fine della Prima Guerra Mondiale, la Croce al merito di guerra venne concessa a tutti i combattenti italiani che avessero onorevolmente servito per un intero anno di guerra in zone di operazioni o fossero stati feriti in azione.

    Questa onorificenza venne consegnata alla quasi totalità dei combattenti della Prima guerra mondiale, che nel 1968 furono nominati Cavaliere di Vittorio Veneto per decreto della Repubblica Italiana, in riconoscimento del servizio prestato durante il primo conflitto mondiale.

    È bene precisare dunque che l'onorificenza non è concessa per uno specifico atto di valore personale, ma è data in generale per le fatiche di guerra. La medaglia concessa per atti particolari di valore personale è la Croce di guerra al valor militare.

    Questa medaglia, come del resto tutte le medaglie di merito, conobbe due versioni, una concessa dal regno d'Italia e una dalla repubblica italiana. Questo fatto è spiegabile che molti di quanti non avevano ottenuto l'onorificenza nel periodo regio poterono ottenerla durante il periodo repubblicano e ad ogni modo alla venuta della repubblica le onorificenze vennero tutte quante sostituite con quelle della repubblica italiana. Le insegne al merito di guerra della Repubblica Italiana vennero prevalentemente concesse ai partigiani che combatterono per la libertà durante il periodo 1943-1945.

    La medaglia era costituita da una croce greca in rame riportante al diritto, sulle due braccia orizzontali, la scritta "MERITO DI GUERRA". Sulle braccia verticali si trova, in alto il monogramma coronato di Vittorio Emanuele III che istituì la decorazione. In basso si trova invece un gladio romano invaso di foglie d'alloro. Il retro della medaglia raffigurava in centro una stella a cinque punte raggiante sulle braccia della croce.

    Il nastro era azzurro con due strisce bianche centrali separate. Alla seconda concessione della medaglia, il nastrino poteva essere completato con una corona reale di bronzo. Dalla terza concessione in poi il nastrino poteva essere completato con due corone reali di bronzo. Secondo il regolamento originario la Croce al merito di guerra poteva essere conferita al massimo per tre volte, con ogni conferimento successivo al primo indicato con l'apposizione di una piccola corona bronzata sul nastro di una unica croce (o sul relativo nastrino). Successivamente questa limitazione venne revocata e venne indossata una decorazione per ciascun conferimento (regio decreto 19 gennaio 1918, n. 205). Nel dicembre 1942 venne nuovamente stabilita l'autorizzazione ad indossare una singola Croce, con i successivi conferimenti così indicati:

    1° conferimento: nastro ordinario senza corone
    dal 2º al 4º conferimento: 1, 2 o 3 corone bronzate
    dal 5º al 7º conferimento: 1, 2 o 3 corone argentate
    dall'8º al 9º ed oltre il 9º conferimento: 1, 2 o 3 corone dorate

    Edited by Neapel - 21/11/2010, 20:03
  15. .

    CROCE AL VALORE MILITARE



    IN LAVORAZIONE ...



    crocealvalore



    Edited by Neapel - 28/11/2011, 10:51
101 replies since 13/11/2010
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